La casa dove passavo la maggior parte del tempo da bambina
era quella dei nonni paterni ed era una casa molto particolare. Loro erano
emiliani, lui di Mesola e lei di Ferrara. Lui filosofo, nel senso che non aveva
mai lavorato in vita sua, e lei maestra. In casa c’erano anche due zie non sposate e c’era spesso una cugina, figlia della terza sorella, che ha la mia
stessa età. Naturalmente le zie ci consideravano quasi figlie loro e i nonni ci
coprivano di attenzioni. Quando giocavamo coi colori o col pongo e riuscivamo a fare qualcosa che ci pareva apprezzabile,
correvamo a mostrarlo a tutta la famiglia incassando sperticati elogi e
talvolta anche qualche pezzetto di cioccolata dalla riserva personale del
nonno.
Questa premessa per raccontarvi che attualmente ho una mia
maestra: mia figlia che disegna per lavoro, e quando faccio quattro segni su un
foglio di carta, corro da lei con lo stesso spirito di quando ero bambina per
incassare il mio pezzettino di affetto dalla sua riserva personale.
Naturalmente le ho sottoposto tutti i disegni della Norvegia
e lei mi ha dato dei compiti da fare per casa (sono alle prese con
la prospettiva della lanterna e non ne vengo proprio fuori). Comunque, tra le
altre cose mi ha detto di guardare le stampe degli artisti giapponesi per
imparare come fare l’acqua.
E io ho trovato questo artista che mi ha incantato. Si
chiama Hiroshi Yoshida, se volete saperne di più guardate su Wikipedia, se
fate una ricerca nel web trovate tantissime immagini relative alle sue stampe
con i soggetti più vari.
Quando le ho sottoposte ad Anita, mi ha detto: ‘Ma proprio
il più occidentale degli artisti giapponesi dovevi pescare?’. Evidentemente non
riesco ad allontanarmi troppo dai miei canoni, però ….
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